Dark-kitchen, la nuova nana bianca del franchising o solo una buona idea food per mettersi in proprio eng?

Diceva il filosofo Eraclito: “Niente è immutabile, tranne l’esigenza di cambiare”, e mai come in questo periodo lo stiamo vivendo sulla nostra pelle. L’emergenza sanitaria, le politiche di contenimento del virus che sono passate attraverso i lockdown, la consapevolezza che in alcuni punti il nostro sistema si è dimostrato fragile hanno portato e stanno portando a diversi cambiamenti, soprattutto nel mondo della ristorazione.
Qualcuno stima che circa 50.000 attività chiuderanno nei prossimi mesi. Ci auguriamo di no, ma se dovesse accadere, questo creerà un vuoto di “offerta” sul territorio ma, dall’altra parte, la “domanda” non scenderà in maniera direttamente proporzionale, tendenzialmente rimarrà la stessa. In poche parole, ci sarà meno concorrenza ma lo stesso numero di potenziali clienti. La sfida è nell’intercettare tale domanda, servirla e fidelizzarla velocemente.
Tra le idee degne di nota nel settore food c’è sicuramente la dark kitchen: una risposta non assoluta, ma sicuramente efficace nel nuovo scenario.
Pensare ad un format che prevede la formula di delivery e take away, senza posti a sedere e senza apertura al pubblico, può cavalcare una tendenza che sta diventando sempre più abitudine consolidata.
Di Dark-Kitchen se ne parla già da due anni negli Stati Uniti con il brand DoorDash e Blue Apron, in Europa con Uber Eats (presente anche in Italia, ma coinvolto in scandali sulla gestione delle risorse umane). Si parla, in questi casi, di “colossi” del delivery che hanno aperto anche cucine in modo diretto, offrendo un menu generalista.
Oggi, il dark kitchen può entrare a pieno titolo nel novero di format food autonomi e verticali. Aprire un una “cucina nascosta” di sushi o di poke, di cucina messicana o di hamburger, pizzeria o cucina tipica. Non è più così strano. Ma per chi desiderasse mettersi in proprio aprendo da zero, cosa significa effettivamente realizzare una dark-kitchen?
Ecco qui di seguito alcuni driver del format.

1. Definire il posizionamento strategico

La base da cui parte qualsiasi progetto di business è la consapevolezza della propria “reason why”, ossia il motivo per cui qualcuno deve preferisci. La strategia commerciale del modello ha inizio con lo studio dei localismi e dalle tendenze globali dei consumi e si conclude con la realizzazione del logo. Il quale deve essere in grado di comunicare valori e promesse commerciali.

2. Non discostarsi mai da certi indicatori di performance

Questi indicatori non sono molto diversi rispetto a quelli di un’attività di ristorazione tradizionale, salvo che nel caso dei costi di affitto dovremmo trovarci in una condizione sicuramente molto più favorevole, essendo necessari molti meno metri quadrati e anche via meno blasonate.
L’indicatore “cruciale” da tenere a mente è quello sull’incidenza del delivery sapendo che oggi la tendenza è quella di lasciare circa il 30% del proprio scontrino. Altro indicatore è quello relativo al foodcost: da tenere entro il 25%. La redditività del modello può essere garantita rispettando certi razionali anche sui costi indiretti.

3. Puntare a propri riders

Cercare di diventare indipendenti dai delivery esterni è sicuramente buona cosa, ma non è un’impresa facile. Bisogna capire quando è il momento giusto per farlo. In primo luogo, le grandi compagnie di delivery hanno una forte visibilità presso l’utenza e di conseguenza garantiscono un certo tipo di copertura. Ma internalizzare il servizio con una propria app e propri riders può consentire un’innalzamento rilevante del margine operativo.

4. Comporre un menu intelligente

Il menu per un’attività in dark kitchen deve essere studiato in modo preciso, chiaro e pratico. Occorre ricordare che il menu deve essere visionato online e quindi non conviene renderlo troppo complesso e lungo. Deve essere pensato anche in funzione del layout delle app così come lo shooting delle pietanze deve convincere e non dissuadere. Inoltre, attenzione ai raggruppamenti. Per facilitare la lettura, meglio suddividere sempre le varie categorie e sottocategorie (quindi pizze bianche, rosse, nuove, strane, etc.).

5. Standardizzare i processi

La standardizzazione permette di evitare rallentamenti e sprechi nella linee di lavorazione, capire esattamente qual è la forza lavoro necessario per l’attività. Standardizzare vuol dire essere più efficienti. L’errore più grave, ma questo non solo per il Dark Kitchen, è lavorare a braccio.

6. Spingere sul social media marketing

Considerato che non vi è un locale in cui fare comunicazione in store, il digitale è l’unica versa strada dove far correre i propri messaggi. Innanzitutto, si consiglia di affidarsi ad un professionista o ad un’agenzia a meno che nel team dei fondatori è presente un esperto di social media marketing o digital marketing. I passaggi da tenere a mente per un’efficace comunicazione social possiamo sintetizzarli in piano editoriale, scelta dei canali da usare, realizzare grafiche, video e fotografie di alto livello per aumentare l’appetising appeal e l’”acchiappa-like” su Instagram, infine, prevede un budget dedicato (ma imprescindibile) per l’advertising.

7. Investire sul packaging

Considerato che, non essendoci il locale, non è importante creare un concept del punto vendita, è cruciale progettare al meglio la comunicazione visiva sul pack che contiene il cibo consegnato. Il packaging deve essere di qualità, dalla forte identità così da essere riconoscibile ovunque, in mano, sulla bici, anche nella spazzatura (pensate a far colorare il cartone della pizza, ad esempio, del colore distintivo del marchio e non di un colore neutro). Un’accortezza: inserire una copia del menu all’interno così da farlo conservare al cliente e favorire il brand recall (il richiamo del marchio) quando è a casa.
Questa tipologia di format è replicabile? Compatibile con un piano di sviluppo in franchising? Senza dubbio, sì, anzi. Aprire una cucina è sicuramente meno costoso di aprire un ristorante. L’accessibilità dell’investimento, rende la dark-kitchen una perfetta soluzione di autoimpiego, ma anche adatta per chi ambisce a grandi fatturati. La complessità del modello viene ridotta anche dall’assenza di spazi al pubblico, meno personale da gestire, meno arredamento necessario (e meno sforzo di creatività per l’allestimento dello stesso). Un insieme di rischi in meno di cui preoccuparsi. Come disse il famoso psicologo americano, William James: “Per tutti i cambiamenti importanti dobbiamo intraprendere un salto nel buio”… ma meglio se in questo buio si avvista il forte bagliore di una nana bianca.

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