Quando l’affiliato è ribelle

Il franchising, lo sappiamo, è uno dei modi in cui un marchio retail o di servizi ha la possibilità di espandersi attraverso l’apertura di nuovi punti vendita. L’obiettivo è quello di creare valore per il marchio andando ad incrementare numeri e fatturato. Tuttavia, c’è sempre dietro l’angolo l’insidia principale: la gestione della rete degli affiliati. Per quanto possa essere tutto regolamentato e blindato con contratti e manuali operativi, il fattore umano, una variabile che non può essere vincolata a clausole e paragrafi, è imponderabile e può causare attriti se non veri e propri problemi al franchising.

Il fatto

Il titolare di una piccola catena di punti in franchising si è trovato, negli anni, con un piccolo gruppo di affiliati a dover combattere per vedere rispettati i suoi diritti alle royalty, ma soprattutto alla corretta impostazione del layout del locale.
Quindi, oltre al caso di inadempimento per i pagamenti si aggiungeva l’aggravante dell’anarchia.

Criticità: falle nella contrattualistica

Un errore che tende ad essere diffuso presso gli esordienti franchisor che rimangono abbagliati dal gran numero di richieste spontanee di affiliazione è dato dall’eccessive personalizzazioni e deroghe alle condizioni “standard” del contratto. Questi particolarismi e pressapochismi nella redazione del contratto franchising portano inevitabilmente alla perdita di controllo della rete.

Soluzione: riportare il rapporto alla giusta dimensione franchisor-franchisee

La prima cosa fatta, è stata quella di una convocazione ad un confronto tramite richiamo informale da parte del responsabile franchising, sia nell’adempimento degli obblighi di pagamento royalty, sia nel rispettare gli standard del marchio nella misura del layout non uniformato alle direttive della casa madre.
Questo passaggio dovrebbe bastare, ma se il franchisee si dimostra recidivo allora occorre inviare una pec con la contestazione formale alle inadempienze a firma amministratore franchising con invito ad ottemperare agli obblighi entro un determinato lasso di tempo.
Occorre aprire una parentesi in merito alle prove. Il franchisor, infatti, deve dimostrare concretamente le violazioni degli standard, soprattutto in merito alle inadempienze verificatesi nel punto vendita. Queste prove si ottengono con un controllo in loco, una disamina scritta e fotografica delle violazioni e una relazione ufficiale finale.
Quindi, passare, sempre a seguito di alcun cambiamento dello status quo, alla lettera legale di diffida, con in allegato le rimostranze e le prove delle stesse, in cui si chiede a) il recupero credito b) la risoluzione del contratto ai sensi della clausola risolutiva espressa prevista nel contratto franchising.
In questo caso il franchisor, oltre ad ottenere le somme dovute, può chiedere il risarcimento del danno o il pagamento della penale, se prevista dal contratto.
Laddove, il franchisee non dovesse rispettare le diffide legali, sarà soggetto ad azione giudiziaria che lo esporrà ad un aggravio economico ulteriore con incluse le spese legali.
L’obiettivo, arrivati a questa fase del rapporto di affiliazione è comunque quello di salvare il marchio, pertanto, l’effetto immediato della risoluzione del contratto di affiliazione deve prevedere l’interruzione interruzione dell’attività affiliata e la perdita di licenza dell’uso del marchio.
Non si deve dimenticare che il franchising è su un’opportunità, ma per essere tale deve essere guidato da regole ferree che, una volta accettate con la firma del contratto franchising, devono essere seguite. In questo caso, Napoleone Bonaparte aveva ragione quando disse: “Chi ha voglia di rovinare gli uomini deve solo permettere loro tutto.”

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