Il ruolo del consulente franchising e la differenza con il franchising manager

In tutti questi anni in cui ci facciamo compagnia con questa rubrica abbiamo compreso un dato di fatto incontrovertibile, ovvero che da soli non si va da nessuna parte e che qualsiasi imprenditore che intende intraprendere l’avvincente percorso del franchising, lo deve fare con l’aiuto di un esperto. Immaginate di fare il primo lancio con il paracadute senza il supporto di un istruttore esperto, si, decisamente rischioso. Tuttavia, è altrettanto importante comprendere quelle che sono le funzioni/responsabilità del consulente franchising e quelle che invece restano in capo all’imprenditore. Perchè se astrattamente la relazione tra i due è indice di potenza, la cattiva comprensione dei rispettivi ruoli, potrebbe essere deleteria per la buona riuscita del progetto franchising.
Ad oggi, il problema di alcuni clienti (quelli che chiedono una consulenza per rendere il proprio marchio un franchising) è capire fin dove arriva il contributo del consulente e quelle che sono invece le prerogative del franchising manager e/o dell’imprenditore. Cerchiamo di mettere a fuoco questa relazione al fine di evitare che l’imprenditore si crei false aspettative dall’opera del consulente franchising e, dall’altro canto, liberare quest’ultimo dalla morse di pretese impraticabili e estranea all’incarico.

A. Il franchising manager/ imprenditore

Quella del manager è, il più delle volte, una figura interna assunta con costo fisso che varia da un min. 30mila euro fino a superare anche 70mila euro lordi annui (costo che varia in base all’esperienza e complessità della rete da gestire) e che spesso per le franchise in fase di start -up coincide con la figura del titolare. Per questo motivo utilizzeremo da questo momento in poi i termini in maniera promiscua.
Il franchising manager segue e attua le direttive aziendali, avendo l’intento di raggiungere obiettivi ben precisi. Non solo, il franchising manager è misurato non solo sul suo comportamento, ma anche su obiettivi commerciali di sviluppo di rete.
Il franchising manager ha una autonomia limitata poiché ha come superiore la proprietà o l’AD. È in definitiva una longa manus della proprietà, un dipendente legalmente inteso. Il vantaggio dell’avere internamente una figura come il franchising manager è quello di poter contare su una risorse propria totalmente dedicata al progetto di sviluppo franchising (sviluppo di richieste di affiliazione, gestione e controllo degli affiliati). Lo svantaggio è dato sicuramente dal costo fisso che egli rappresenta per il bilancio aziendale e quello di non poter accedere ad un know-how esterno che spesso può rappresentare una linfa rivitalizzante per un’azienda.

B. Il consulente franchising

Il consulente franchising, invece, è una figura specializzata, capace di trasferire alle aziende un know how tale da ridurre i rischi imprenditoriali insiti in un piano di sviluppo franchising. A questo si aggiunge la possibilità di ridurre i rischi di Il processo di affiliazione attraverso strumenti specialistici di marketing e strategici.
A differenza di un franchising manager, li obblighi di un consulente sono di mezzi e non di risultato, ovvero è tenuto ad eseguire precisi output legati strettamente al suo incarico. Affidare un incarico ad un consulente franchising non vuol dire poter disporre liberamente del suo tempo alla stregua di un dipendete. Il consulente franchising in qualità di libero professionista svolge il lavoro commissionatogli con autonomia e secondo una propria metodologia, salvo diversi accordi contrattuali.
A volte, si cerca di addebbiare il mancato raggiungimento degli obiettivi di affiliazione al consulente, ma in realtà sfugge all’imprenditore che l’affiliazione è un risultato di squadra, è come tagliare il traguardo una staffetta nella quale l’imprenditore stesso è l’ultimo staffettista, poiché è con lui che l’affiliato deciderà di legarsi con contratto pluriennale. Il consulente ha fatto la sua corsa consegnando nell’ultimo tratto di gara il testimone. Non potrebbe essere diversamente. Il numero di aperture in franchising dipende, non solo dalla strategia commerciale elaborata dal consulente insieme al cliente, ma soprattutto dal contributo che in sede di trattativa dell’imprenditore è riuscito ad imprimere e della successiva capacità organizzativa di avviare un punto vendita affiliato. Alla classica domanda “quante aperture faremo nel primo anno?”, rispondo sempre con un’altra domanda “quante sei grado di farne”? Il consulente franchising suggerisce un’impostazione tattica e tecnica efficace in virtù della sua esperienza di settore per avviare la rete ma è pur sempre egli stesso o il manager dell’azienda a finalizzare il progetto di sviluppo. Il consulente è un mezzo utile per giungere alla soluzione.
Ed è per questo motivo che alcune aziende franchising (soprattutto start up) riescono a raggiungere il successo e altre no. Perché il successo di un’azienda franchising è, sì, influenzato dal consulente, ma è determinato dall’imprenditore stesso.
Non a caso i costi di un consulente franchising sono decisamente inferiori rispetto ad una figura interna manageriale dedicata al franchising. Quindi, la soluzione di optare per un consulente diviene conveniente, soprattutto in una fase in cui un’azienda non dispone di budget finanziari importanti.
Il vantaggio, quindi, di ingaggiare un consulente franchising è quello di instradare il progetto di sviluppo della rete a costi sicuramente bassi, a discapito, tuttavia, della disponibilità (non è una figura interna e a disposizione dell’imprenditore).
In conclusione, si può dire che nessuna delle due figure esclude l’altra, anzi. Il consulente franchising apre la strada che poi sarà battuta dal franchising manager. Sono due step di servizio diversi e progressivi, ma non sono minimamente sovrapponibili o intercambiabili. Al centro di tutto questo vi è comunque l’imprenditore, colui che deve avere la visione (oltre che il comando) che deve saper delegare, ma anche assumersi le proprie responsabilità e non scaricare su consulenti e dipendenti le attività. Per dirla come Seneca “Comandare non significa dominare, ma compiere un dovere.”

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