Ogni grande rete nasce da un’idea, ma diventa realtà solo con fondamenta forti.
Lo studio di fattibilità è il primo passo per rendere un’intuizione imprenditoriale un format replicabile, tutelato e sostenibile. È qui che si valutano potenzialità e criticità del modello, prima di investire tempo e risorse nella sua espansione.
Senza questa analisi, anche i progetti più promettenti rischiano di arenarsi fra contratti poco chiari, conti che non tornano e format non standardizzabili e scalabili.
Lo studio di fattibilità per il franchising si fonda su quattro aree principali profondamente interconnesse:
Valutare queste quattro aree in modo separato è un errore. Ogni ambito, giuridico, tecnico, economico e operativo, è strettamente collegato agli altri e basta un solo anello debole per compromettere l’intera replicabilità del modello.
Ad esempio, un’attività può avere ottimi risultati economici, ma se il know-how non è protetto legalmente rischia di essere copiato senza controllo. Oppure un contratto perfetto dal punto di vista legale, applicato però a un format non codificato o non standardizzabile, diventa inutilizzabile.
Per questo serve un approccio integrato: solo una visione d’insieme permette di costruire un sistema davvero replicabile, solido e capace di crescere nel tempo.
Immagina un piccolo bistrot nel cuore di Bologna, in una zona centrale e sempre frequentata. In pochi anni, grazie alla qualità dei piatti, all’atmosfera calda e accogliente e alla presenza costante del titolare, è riuscito a conquistare una clientela affezionata e a costruirsi una reputazione solida nel quartiere. Il locale funziona bene sia a pranzo che a cena, le recensioni online sono eccellenti e il fatturato supera la media del settore con margini stabili e sostenibili.
Tutti gli indicatori sembrano positivi: è il classico caso che inizia a far gola a investitori e potenziali affiliati, attratti da un format che, all’apparenza, sembra già pronto per essere replicato.
Tuttavia, non appena si avvia una prima analisi strutturata, emergono subito alcune criticità evidenti:
Tutti gli elementi che rendono il bistrot così apprezzato dipendono direttamente dall’esperienza del titolare e dalla sintonia del team attuale. Nessuno di questi aspetti è stato formalizzato o reso trasmissibile.
Il risultato? Nonostante il forte potenziale economico e l’interesse suscitato dal concept, il modello non è ancora pronto per essere replicato in sicurezza. Senza strumenti concreti per trasferire identità, qualità e processi, ogni tentativo di affiliazione rischierebbe di snaturare il format originale.
In questa fase, la priorità non è “vendere” il franchising ma costruirne le fondamenta: proteggere legalmente il marchio, codificare il know-how operativo, sviluppare un business plan scalabile e definire un sistema strutturato di supporto per i futuri affiliati. Solo così l’idea può evolvere da successo locale a modello di business solido, replicabile e pronto a crescere.
Il primo passo per rendere un format replicabile in franchising è metterlo al sicuro. La tutela legale non è un dettaglio burocratico ma la base su cui costruire un modello solido e difendibile. Senza protezione ogni vantaggio competitivo rischia di essere copiato, snaturato o addirittura registrato da altri.
Registrare il marchio – almeno a livello nazionale e idealmente anche europeo – è fondamentale per garantirsi l’esclusiva su nome e logo, evitando conflitti legali e ambiguità sul mercato. Ma non basta.
Il vero cuore giuridico del franchising è il know-how o meglio la titolarità formale del patrimonio operativo e gestionale: quell’insieme di procedure, standard operativi, modelli gestionali e competenze che rendono il tuo format unico. Deve essere formalmente identificato, documentato e trasmissibile in modo tracciabile. Solo così può essere realmente tutelato e valorizzato.
Altro pilastro essenziale è il contratto di affiliazione. Deve essere redatto su misura, aggiornato alla normativa vigente (come il Codice del Consumo) e bilanciare con chiarezza i diritti e i doveri di entrambe le parti. È ciò che ti protegge da interpretazioni ambigue, comportamenti scorretti o violazione degli standard da parte degli affiliati.
Gli errori più comuni ai quali assistiamo?
Oggi esistono strumenti intelligenti che rendono tutto questo più semplice e sicuro: piattaforme per la notarizzazione digitale del know-how, bozze contrattuali dinamiche e personalizzabili tramite AI, aggiornate in tempo reale alla normativa di riferimento.
Nel franchising l’equilibrio economico non è un’opzione: è la base. Anche il format più bello e innovativo fallisce se non fa guadagnare l’affiliato. I principali indicatori di solidità economica sono i seguenti:
Per dare un significato concreto a questi numeri serve molto più di un conto economico. Serve un business plan multilivello pensato per la scalabilità: non basta analizzare un solo punto vendita, bisogna simulare l’intero sistema su più unità, includendo:
Un errore comune? Scambiare un buon fatturato per un buon modello di franchising.
Facciamo un esempio concreto: immagina un’attività che incassa 300k € annui. A prima vista può sembrare un successo. Ma se per aprirla servono 90.000 € e il margine netto è solo del 6%, l’affiliato si troverà con un investimento difficile da recuperare e margini troppo bassi, oltre 6 anni.
Ora confrontiamolo con un altro format: fatturato annuo di 240.000 €, investimento iniziale di 50.000 € e margine lordo del 25%. Meno appariscente? Forse. Ma molto più sostenibile e redditizio per chi decide di affiliarsi, payback dell’investimento in un anno circa.
La differenza è tutta nella struttura del modello non solo nei numeri in vetrina.
Oggi il franchisor può contare su strumenti digitali e soluzioni AI per prendere decisioni strategiche basate sui dati: dashboard predittive, simulazioni finanziarie, analisi territoriali e algoritmi di ottimizzazione guidano la scelta delle location e dei modelli più redditizi.
La fattibilità economica è la spina dorsale del franchising: se il modello non è scalabile e sostenibile non ha futuro. E se oggi i numeri non sono ancora da “top brand”? Nessun problema: basta un piano chiaro per tagliare i costi superflui, ridefinire il pricing e ottimizzare i margini. Servono visione, metodo e competenze.
La fattibilità tecnica è ciò che rende un format replicabile. Non si tratta solo di poter “rifare” un’attività altrove, ma di garantire che ogni nuovo punto rispetti lo stesso standard operativo, venga avviato in modo efficiente e rimanga sotto controllo nel tempo. È un mix di organizzazione, documentazione, tecnologia e logistica.
Ogni processo, dal layout del locale all’erogazione del servizio, deve essere definito e trasferibile. Serve un manuale operativo completo, con procedure dettagliate, SOP (Standard Operating Procedures) flussi e checklist.
Ad esempio, in un franchising di caffetterie, anche l’allestimento della vetrina o la gestione dei turni deve seguire regole precise. Nei servizi alla persona, le fasi di accoglienza e intervento devono essere codificate per ridurre la variabilità e garantire la stessa esperienza ovunque.
L’aspetto tecnologico costituisce un vero e proprio asset strategico per il coordinamento della rete. Un franchising moderno si basa su una piattaforma LMS (Learning Management System) per la formazione.
Questo consente di gestire l’onboarding con corsi e-learning, video tutorial, quiz, certificazioni accessibili anche da app.
Ad esempio, un franchising beauty può usare un percorso online per assicurarsi che ogni affiliato abbia acquisito correttamente il metodo prima dell’apertura. Questo sistema rende la formazione continua e misurabile con dashboard che segnalano eventuali gap da colmare.
In parallelo strumenti digitali condivisi come intranet, drive aziendali o CRM permettono di distribuire materiali aggiornati (guide, listini, campagne) e monitorare le performance.
Un format efficace deve prevedere un modello di approvvigionamento sostenibile, controllabile e replicabile. Questo può avvenire tramite hub logistici gestiti direttamente dal franchisor (come accade spesso nel food) oppure grazie a contratti quadro con fornitori esterni che assicurano qualità e condizioni uniformi.
Un aspetto fondamentale è la valutazione di tempi e costi logistici. Questi devono essere calcolati in relazione alla dislocazione geografica dei franchisee, alla frequenza delle consegne necessarie (giornaliera, settimanale, mensile) e alla capacità di stoccaggio di ciascun punto vendita. Una logistica efficace deve quindi essere flessibile ma standardizzata per ottimizzare costi, evitare ritardi e garantire continuità operativa.
Esempi pratici:
Per mantenere il controllo sulla rete logistica, è indispensabile implementare alcuni elementi chiave:
Un modello logistico ben costruito riduce sprechi, assicura uniformità operativa e migliora i margini, sfruttando le economie di scala e offrendo al franchisee un sistema pronto, efficiente e competitivo.
La fattibilità tecnica non può esistere senza conformità legale. Ogni format deve poggiare su fondamenta giuridiche solide e aggiornate.
Quando si parla di fattibilità operativa nel franchising, non si tratta semplicemente di chiedersi “possiamo partire?”, ma piuttosto di rispondere con serietà alla domanda: “siamo pronti a sostenere i flussi di attività che un network richiede, oggi e domani?”.
E la verità è questa: nessun format nasce completo, ma ogni franchisor deve mettere in conto un impegno concreto – in termini di persone, strumenti e tempo – per rendere il proprio modello operativo davvero replicabile.
Un esempio?
Hai un centro estetico che funziona benissimo e pensi di poterlo replicare. Bene. Ma chi risponderà alle domande dei nuovi affiliati il lunedì mattina alle 9? Chi aggiornerà i listini, i materiali marketing, i video di formazione? Chi analizzerà le performance per capire se un centro va rilanciato o sta performando al di sopra delle aspettative?
Queste attività richiedono risorse reali. E non si possono improvvisare.
Costruire un franchising significa trasformare un’intuizione vincente in un’organizzazione che regge il peso della crescita. E questo si realizza con:
Caso concreto:
Un franchising food ha lanciato 4 punti vendita in 6 mesi. Il team iniziale era composto solo da 2 persone. Dopo l’apertura del secondo store, si sono accorti che i tempi di risposta alle richieste operative erano troppo lenti. La soluzione? Hanno automatizzato le FAQ tramite chatbot interno, introdotto una piattaforma di e-learning e assunto un responsabile per il supporto. I KPI di soddisfazione affiliati sono passati dal 67% all’85% in 3 mesi.
È fondamentale chiarire: non serve partire perfetti, ma serve avere un piano. Chi aspetta la struttura ideale rischia di non partire mai. Ma chi parte senza prevedere flussi e risorse concrete, rischia di bruciarsi al primo giro.
L’attuazione operativa è l’esecuzione viva di ciò che sulla carta sembrava solo un’idea brillante. È qui che il franchising si gioca tutto. Ed è qui che entrano in gioco:
Senza indicatori di performance, non c’è miglioramento. Ogni attività – dalla formazione alle vendite – deve lasciare una traccia. Serve una dashboard che racconti come sta andando la rete, dove intervenire, chi ha bisogno di più supporto.
Chi crea un franchising deve chiedersi:
“Quali sono i miei flussi operativi chiave?”
“Chi se ne occupa?”
“Come li misuro?”
“Come li miglioro?”
Solo così, con coraggio e concretezza, la fattibilità operativa smette di essere una voce su un business plan e diventa la base su cui costruire una rete viva, sana e pronta a crescere.
Area |
Requisito 1 |
Requisito 2 |
Requisito 3 |
Giuridica |
Marchio registrato |
Contratto conforme |
Documentazione del know-how |
Tecnica |
Manuale operativo |
Format layout definito |
Sistema formativo LMS |
Economica |
ROI < 24 mesi |
MOL > 20% |
Costi di start-up contenuti |
Operativa |
Struttura centrale |
CRM gestionale |
Piano onboarding + audit |
Nel franchising il business plan non è solo un documento economico: è uno strumento strategico indispensabile per valutare la reale sostenibilità e scalabilità del progetto.
A differenza del classico business plan, che fotografa l’andamento di un’unica attività, quello pensato per il franchising deve simulare la replicazione del modello su più unità, tenendo conto di tutte le variabili tipiche della rete.
Cosa include un business plan strutturato per il franchising?
Per orientarsi meglio, è utile confrontarsi con alcuni benchmark del settore:
Un business plan ben fatto, quindi, non serve solo a rassicurare un investitore o una banca. Serve soprattutto a te, franchisor, per capire se il modello è davvero scalabile, se l’affiliato potrà guadagnare e se la tua rete potrà crescere in modo sostenibile e duraturo.
Senza uno studio serio e strutturato anche i progetti più promettenti rischiano di fallire.
Ecco gli errori più frequenti ai quali si va incontro senza lo studio di fattibilità:
Aprire in franchising senza procedure scritte porta inevitabilmente a incoerenze tra un affiliato e l’altro.
Es.: Una gelateria apre due affiliati in due regioni diverse: non avendo formalizzato i processi di preparazione, esposizione e conservazione del prodotto, i clienti notano differenze evidenti tra un punto vendita e l’altro, minando così l’immagine del brand.
Avere un locale profittevole non significa automaticamente che sia replicabile in altri contesti.
Esempio: un centro estetico in centro città, con ottimi margini e grande affluenza, viene proposto in franchising senza simulare i numeri in zone diverse. L’affiliato in periferia non raggiunge il break-even a causa di un target poco compatibile e costi fissi troppo elevati.
Modelli “copia e incolla” che non tutelano il format, creando e generando zone grigie e contenziosi.
Es.: un brand di abbigliamento streetwear adotta un contratto generico preso da internet. Dopo sei mesi un affiliato cambia fornitore, mantiene il logo e crea una linea parallela: il contratto non prevedeva clausole di esclusiva o penali per la violazione del format.
Accettare “chiunque” per crescere velocemente è un errore.
Es.: Una caffetteria affilia un imprenditore inadatto, con visione opposta al brand e senza esperienza. Il risultato? Conflitti, recensioni negative, danni d’immagine.
Senza audit e standard condivisi, ogni punto vendita diventa un mondo a sé.
Es.: Catena fast food senza verifiche: alcuni punti abbassano gli standard. L’intera rete ne paga le conseguenze.
Ricorda che ogni errore ha un costo: tempo perso, reputazione danneggiata, contenziosi legali.
❌ Senza studio:
✅ Con studio:
Esempio: un brand yoga ha investito 12.000 € nello studio e venduto 4 affiliazioni in 12 mesi. Ogni nuovo affiliato ha ricevuto un onboarding digitale, il manuale operativo interattivo e il supporto formativo continuo. Risultato: 0 abbandoni e 2 richieste di multi-affiliazioni entro il secondo anno.
In media 2 mesi. La tempistica può allungarsi se il brand è da ristrutturare o se mancano procedure scritte. Ad esempio:
Lavanderia self-service
Panineria gourmet
Un team esperto e interdisciplinare:
Esempio concreto: una palestra ha tentato di replicare il format internamente, senza il supporto di un esperto finanziario. Il risultato è stato un business plan troppo ottimista, che ha attirato affiliati non sostenibili dal punto di vista economico. Dopo lo studio con un team completo, il franchisor ha corretto il tiro: ha ricalcolato margini reali e stabilito fee d’ingresso coerenti con il valore percepito.
4.000 – 10.000 € in base a complessità del format, moduli richiesti (contrattuale, operativo, economico, legale, marketing, etc) e materiali da codificare.
Si ammortizza facilmente: la fee d’ingresso del primo affiliato può coprire l’intero costo. Inoltre, si risparmiano migliaia di euro in errori evitati, contenziosi e revisioni future.
Esempio: brand fast casual spende 10.000 € per lo studio, guadagna 21.000 € tra prima fee e ordine iniziale. Margine visibile già al primo mese.
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