Pizza Hut: i motivi del fallimento del franchisee più grande degli Stati Uniti

«Pizza Hut chiude i battenti», scrivono i giornali italiani.
Al di là dei titoli sensazionalistici che, come in questo caso, non corrispondono alla verità, è innegabile che la celebre catena di ristorazione non se la passi tanto bene, specie negli ultimi anni.
Cosa è successo davvero in questi giorni infuocati?
La notizia è che NPC International, la società che controlla oltre 1.200 punti vendita in franchising del colosso della pizza, ha richiesto l’amministrazione controllata, secondo la normativa fallimentare americana, il celebre Chapter 11.
NPC International detiene il maggior numero di punti vendita negli USA ed è evidente che una sua caduta possa avere un impatto diretto sugli altri circa 17mila punti vendita in ben 100 Paesi della catena di franchising americana.
La cattiva salute di NPC International, colpita da un debito monstre di 900 milioni, rischia di cambiare la vita, in negativo, degli oltre 40mila dipendenti dell’azienda la quale, oltre a Pizza Hut, detiene, inoltre, 385 punti vendita di Wendy’s, altra celebre catena nel fast food.
Ma quali sono i motivi del fallimento di NPC International?
Li analizzo in quest’articolo, riprendendo fonti ufficiali e le voci dei protagonisti.

Pizza Hut, una crisi che viene da lontano

«Il più grande problema che Pizza Hut sta affrontando è di percezione», tuonava Artie Starrs, il presidente di Pizza Hut U.S., durante una delle conferenze di Yum Brands, l’impresa del Kentucky che possiede, oltre a Pizza Hut, KFC e Taco Bell. Il suo intervento risale a dicembre 2018, quando le revenue di Pizza Hut erano in crollo, deludendo le aspettative degli investitori.
Con “percezione” Starrs alludeva a uno dei nervi scoperti della catena. Come si legge in un articolo di CNBC, spiegava ai presenti che molti dei consumatori della catena non associavano “Pizza Hut” alla parola “delivery”. Il problema, secondo il presidente, era nelle stesse facciate di molti edifici della catena:
«Quando guidi verso gli edifici, non sembra che ci sia nessuna voce che grida, qui si fanno consegne».
Per diventare dei leader nel “delivery game“, Starrs e i suoi non sono di certo stati fermi. Nel mese successivo, negli inizi del 2019, si sono rimboccati le maniche e hanno trasformato il layout dei locali, rivoluzionandolo, con l’obiettivo di far crescere le consegne a domicilio. Alcuni mesi prima avevano poi fatto un investimento multimilionario per legarsi in una partnership con la National Football League americana.
Ora entrare con tanta forza nel delivery non ha, tuttavia, colmato il gap che si è creato con altre catene diventate poi dei “giganti” nel settore. Un articolo, il Financial Times, evidenzia come il brand abbia perso la competizione con alcuni rivali del delivery più bravi e abili a navigare le acque del digitale (come Domino, DoorDash, GrubHub) che hanno rubato, anno dopo anno, quote di mercato.

Competizione sfrenata e il colpo di grazia della Pandemia

NPC non ha solo pagato dazio dal mancato posizionamento del brand nel campo del delivery. Altri fattori hanno portato il gruppo a indebitarsi fino alla bancarotta. Come l’aumento della competizione nel mercato della pizza americano che ha alzato i salari minimi in alcuni Stati, più che in altri, con un incremento anche del prezzo della carne.
Una situazione, già complessa, su cui si è poi abbattuto “l’uragano Coronavirus”, che ha portato a spese di 750.000 dollari al mese, per mettere in sicurezza i locali.
L’unione tra questi fattori: una competizione aggressiva, un ritardo nel lanciarsi con forza nel mondo del delivery, l’aumento dei prezzi, e infine l’emergenza Coronavirus, spiegano il fallimento di NPC che, nel comunicato nel quale ha annunciato l’attivazione del Chapter 11, assicura che un accordo è stato già raggiunto con il 90% dei creditori di primo livello e con il 17% dei creditori di di secondo livello.
L’obiettivo oggi del gruppo è di ristrutturare il suo debito per “allinearsi alle performance di Pizza Hut US, che nell’ultimo mese ha ottenuto un risultato che fa ben sperare sul futuro della catena, il picco di consegne a domicilio, il più alto negli ultimi otto anni.

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