Se l’ex affiliato fa il furbetto

Il franchising è, in primo luogo, un contratto. La formula contrattuale che regola l’affiliazione commerciale è il pilastro su cui regge il rapporto tra il Franchisor e i suoi Franchisee. Tuttavia, dato che, come dice Aristotele, “Se sulla terra prevalesse l’amore, tutte le leggi sarebbero superflue”, è sempre necessario porre molta attenzione non solo su come è stato impostato il contratto di franchising, ma anche sul modo di agire tempestivamente ed efficacemente di fronte a quelle che sentiamo di definire “palesi violazioni” dello stesso. Il caso di questo mese riguarda proprio un episodio di violazione contrattuale e delle contromisure adottate.

Il fatto

Un marchio operante nel settore della ristorazione ha fatto aprire un punto in franchising su un territorio non distante dal punto pilota. Ad un anno dall’attività, però, l’affiliato, adducendo motivi dubbi sulla redditività del modello (nonostante un fatturato da 550mila euro) e sulle difficoltà di gestione del personale, ha deciso di recedere dal contratto di affiliazione. Cosa peraltro legittima qualora l’attività in essere non dovesse dimostrarsi redditizia al punto da non essere sostenibile (comunque da dimostrare). Tuttavia, l’affiliato ha lasciato aperte delle posizioni debitorie sia per quanto concerne le quote di royalty quanto sul pagamento delle forniture di materie prime e prodotti ricevute dalla Casa Madre. In questo modo, l’affiliato ha arrecato al Franchisor un doppio danno (recesso del contratto e crediti non corrisposti).

Criticità: una torbida situazione post-recesso

A distanza di 3 mesi dal recesso, l’affiliato ha chiuso la vecchia società, ma ne ha aperta una nuova avente come amministratore unico un suo parente, così come parenti sono i componenti societari. Sebbene lui non compaia, il legame di affinità parentale diretto non lascia molto spazio a dubbi sulla potenziale malafede dello stesso.
Per quanto concerne l’attività, invece, sono stati cambiati unicamente nome e insegna, mentre personale, arredi, attrezzature sono rimasti immutati nella sostanza. Non solo, oltre ad utilizzare attrezzature e ambienti, nonché stessa clientela, anche la formula commerciale è rimasta invariata.
A luce di quanto emerso lapalissianamente, di fatto c’è una violazione del patto di non concorrenza, tipico del contratto franchising, anche se la violazione non è stata perpetuata direttamente dall’affiliato, ma da soggetti collegati indirettamente a lui (i parenti).
Tuttavia, è presente anche un’altra violazione, non immediatamente percepibile.
Quando un affiliato recede dal contratto di franchising e cessa l’attività deve, da contratto, garantire al Franchisor il diritto di prelazione, ovvero dare la possibilità alla Casa Madre di rilevare l’attività in oggetto e liquidare così l’affiliato uscente. In questo caso vi è un passaggio discutibile di un avviamento nuova attività che cela di fatto una cessione diretta dell’azienda, nonostante ci sia stata chiusura della vecchia società.
Ci troviamo di fronte a due grandi violazioni: quella del patto di non concorrenza e quella inerente alla mancata possibilità di prelazione, laddove si riuscirebbe a dimostrare la cessione del ramo d’azienda.

Soluzione: azioni legali tempestive e mirate

Prima cosa da fare: ingiunzione di pagamento per il recupero coatto del credito determinato dal mancato pagamento delle royalty e della materia prima fornita nei confronti dell’affiliato. Tale azione non presenta particolari difficoltà, in quanto, da contratto è previsto quanto, come e quando dare al franchisor e, qualora l’affiliato venga mano a quell’obbligo, il franchisor ha diritto ad essere pagato, producendo negli atti le fatture non pagate e contestate.
In secondo luogo, si deve agire tempestivamente attraverso il ricorso speciale ex articolo 700 del Codice di Procedura Civile, dal momento che vi sono i presupporti previsti dalla legge: il periculum in mora (ovvero un alquanto verosimile danno a carico del franchisor che può aggravarsi con il passare del tempo) e il fumus boni iuris (ovvero l’evidente ragionevolezza del danneggiato ad avanzare richiesta del procedimento straordinario), poiché è presente l’indebito sfruttamento del know how (l’attività ha mantenuto personale, attrezzature e identica formula commerciale), con conseguente sviamento della clientela che viene stornata dal marchio affiliante, dando così un mancato guadagno per la casa madre che aumenta progressivamente con il passare del tempo.
Il ricorso straordinario così ottenuto prevede un giudizio speciale senza contradditorio per bloccare l’attività commerciale in oggetto. In questo modo, innanzitutto si limita il danno e, successivamente, si procede con un giudizio ordinario per chiedere il risarcimento non solo del dovuto, ma anche del sottratto. L’azione del ricorso straordinario non preclude altre azioni come ingiunzioni di pagamento e giudizi ordinari per le violazioni suddette e penali che hanno comunque tempi meno rapidi.
Occorre ricordare, partendo da questo esempio, come alla base di un progetto franchising ci deve essere un contratto solido, ma che questo non sempre inibisce l’affiliato in malafede ad agire contro di esso (altrimenti sarebbe un mondo quasi perfetto). Allora, è importante essere pronti ad ogni evenienza e sapersi muovere con decisione e tempestività.

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