Vince chi rompe gli schemi

Inauguriamo con la seguente premessa la collaborazione sulla rivista start franchising. Il franchising è un mondo complesso, un settore che soffre e gode dei mutamenti del mondo circostante, delle mode, dei flussi di credito e anche dello spirito di una classe imprenditoriale. Tuttavia, si tratta di una formula di espansione aziendale che ha fatto scuola ormai da decenni. Pertanto, in questa nuova “rubrica” analizzerò di volta in volta dinamiche aziendali ispirate a casi reali. Nei quali, da un lato, si porrà attenzione elle difficoltà incontrate da franchisor e/o i franchisee nel percorso di sviluppo e, dall’altro, si suggeriranno soluzioni manageriali relative, in maniera tale da cristallizzare il know-how di settore.

Fatto.

Si analizzerà il caso di un famoso brand. Una catena internazionale con tantissimi punti aperti all’estero è da qualche anno approdata anche in Italia. Tuttavia, non sono state poche, e continuano a non esserci, le difficoltà per questo Franchise di porre saldamente i piedi sul territorio italiano per via di un non soddisfacente numero di aperture, nonostante l’esistenza di un ufficio sviluppo, qualche punto diretto e l’aver investito budget pubblicitari congrui su canali media on line e off line tipici del settore.

Criticità.

1. Difficoltà nel reclutare affiliati in target.
Purtroppo, un contatto (lead di potenziali franchisee) non è sinonimo di “contatto di qualità”, questo perché, come abbiamo visto, per quanto possa essere stata ottenuta una copertura ampia nella campagna di comunicazione, i media impiegati non hanno coinvolto il target giusto. Ossia, le candidature non avevano budget coerenti all’investimento richiesto dal franchisor in parola. Probabilmente a quest’ultimo, è sfuggito un dato statico fondamentale, ossia che in Italia solo il 10% (ultimo rapporto Assofranchising, 2018) delle affiliazioni avviene con investimenti superiori a 150mila euro. Quindi per ragioni commercial i canali media conosciuti di advertising sono più tarati ed efficaci per target con investimenti molto inferiori. Pubblicizzare su media tradizionali di settore un format da oltre 200mila euro significa spesso bruciare, a mio avviso, del budget prezioso.
2. Difficoltà a trovare location idonee.
Il format in questione richiede inoltre una metratura molto grande, superiore a 300mq. Anche quando si è riusciti a trovare l’interlocutore giusto (franchisee) per capacità finaziaria e volontà di spesa, il processo di affiliazione ha subito rallentamenti o in alcuni casi ammaraggi a causa della difficoltà oggettive nel trovare sic et sempliciter una location con le giuste caratteristiche.
3. Un andamento del progetto franchising i chiave Italia non troppo efficace.
Contratti, documenti di promozione, elaborati economici non così immediatamente convincenti e confortevoli per il target.

L’identità fantasma

La marca dell’identità fantasma è quella che comunica un sé ideale ma non reale, si svela nel tempo, dopo che la comunicazione è risultata troppo distante dalla verità. La promessa commerciale che esprime la marca non deve mai allontanarsi troppo da quello che effettivamente riesce a garantire al loro target.

L’estensione-flop

Quando un brand decide di intraprendere una strategia di prodotto in un comparto merceologico nuovo, distante dal proprio core business, capitalizza sulla propria identità per accrescere i profitti. Ma se il salto di territorio è incongruo la brand image ne risentirà negativamente. Nel franchising un esempio è il mondo dei negozi di capsule. Partendo dalla vendita di capsule e cialde di caffè, ci si è ritrovati con store che vendono tè, acqua, bevande, stoviglie. Perché questo? Per mantenere interessanti in volumi di vendita allargando il portfolio prodotti. Tuttavia, la marca che decanta la centralità del caffè rischia di essere intesa come debole perché intrinsecamente fa capire come il core business da solo non basta a reggere il modello.

Il brand stretching dissennato

Stiamo parlando di quei casi in cui la marca che storicamente è riconosciuta per un prodotto/servizio attacchi s’avventura in altri settore completamente diversi; sono operazioni delicate, dense di possibilità e spesso fortunatissime, ma anche fatali e irte di pericoli.
Se da una parte la marca può diventare un reale moltiplicatore di valore, un trasmutatore alchemico, perché se ben gestita funziona come pietra filosofale, dall’altra non trasforma in business ogni cosa. Il suo sviluppo è associato alla progressiva emancipazione della proprietà intellettuale dai prodotti che identifica.
È una procedura di grande diffusione e successo spesso preferita dalle aziende rispetto alla produzione interna; tuttavia senza scelte coerente di posizionamento e una strategia di fondo può rivelarsi rischiosa e fonte parassita. Consiste nel cedere l’uso di un marchio a un’altra impresa, dietro il pagamento di royalties.
Il proprietario del marchio come bene intellettuale e registrato è responsabile del mantenimento di un trattamento uniforme della proprietà data in licenza; ciò significa stabilire canoni d’immagine e di qualità che serviranno da guida per coloro che andranno ad applicarli ad altre categorie merceologiche.
Nel franchising il licensing è più frequente di quanto si pensi. È la soluzione per chi non ha tutti i requisiti per diventare franchise, ma comunque ha le basi di un know how incarnato in un marchio. Il caso può essere In questa disamina dei rischi “dietro l’angolo” si può evincere un unico vero imperativo: pensare ad una strategia di sviluppo. Ricordate che il franchising non è né un settore, né un prodotto ma un sistema e come tale, chi vi si approccia deve conoscerne meccanismi ed elementi strutturali come appunto è il brand.

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