Franchising e food delivery: combinazione possibile?

Appena pubblicato sul portale “aprire in franchising”, il mio nuovo articolo sul tema food-delivery . Una realtà consolidata commerciale più che una tendenza di settore, ormai sotto la lente di ingrandimento di investitori sia nelle vesti di franchisor che franchisee. Qui di seguito uno stralcio del mio articolo:
“Secondo il rapporto 2018 del FIPE, il comparto del food delivery in Italia ha fatturato lo scorso anno oltre 250 milioni di euro. Dall’indagine si rileva che il 30,2% degli italiani ha avuto occasione di ordinare on line il pranzo o la cena da piattaforme di food delivery. Le ragioni stanno principalmente nella combinazione tra la poca voglia di uscire (37,1%) e/o di cucinare (31,5%) e la mancanza di prodotti in casa (35,6%). Il dato che salta all’occhio è il mutamento dei trend di acquisto. L’utente preferisce la comodità sempre più rispetto all’esperienza in store, o meglio, alterna l’esperienza in store, alla comodità del servizio. Ci troviamo davanti ad una specie di “multitasking” nel consumo che sta dettando nuove regole nel mercato del food.
Il panorama del food delivery, lo sappiamo, presenta grandi player come JustEat, Deliveroo, Glovo ma degni di nota sono anche i piccoli operatori che con formule intelligenti si stanno conquistando la propria quota di mercato.
Questo è possibile perché:

  • Innanzitutto, non in ogni città c’è la copertura dei vettori dei grandi player di settore. Pertanto, aziende di food delivery possono facilmente imporsi in territori “periferici” e di provincia.
  • Il modello di business del food delivery è snello e di semplice avviamento, pertanto può attirare giovani o imprenditori di “secondo tempo” che desiderano mettersi in proprio o rimettersi in gioco. I costi di investimento per un’attività di food delivery non sono così proibitivi.
  • La vera e principale criticità, tuttavia, è data dalla gestione dei dipendenti. I rider sono assunti secondo contratti estremamente flessibili che permettono un fin troppo veloce turn over. Quindi, l’imprenditore potrebbe trovarsi di fronte a frequenti carenze di personale. Ci possono essere delle soluzioni gestionali valide, ma occorre valutare caso per caso la realtà e il bacino di utenza che si ad intercettare: città con ampia presenza di giovani, oppure piccoli centri abitati, ecc. possono dettare politiche di gestione delle risorse umane peculiari.

I ricavi di questo modello di business sono nelle commissioni fisse per il cliente finale e percentuali per i ristoratori. Va da sé che non si tratta di volumi di fatturato piccoli, quanto piuttosto di avere un regime di fatturato ampio che conti almeno un migliaio di consegne al mese per arrivare a break even mensile con i costi fissi di gestione. Tuttavia, un imprenditore (o franchisee) particolarmente portato per l’attività commerciale può siglare con gli esercenti accordi vantaggiosi per entrambi (ricordate che comunque il food delivery dà visibilità e aumenta i volumi di vendita dei convenzionati), nonché ampliare esponenzialmente il suo portfolio clienti.
In conclusione, il fenomeno food delivery come un modello business che sta crescendo sensibilmente, e che non implicando il possesso di brevetti, licenze e patentini può essere gestito da chiunque abbia un attitudine commerciale. Insomma, ci troviamo di fronte a quello che si definisce una buona opportunità … se si ha voglia di “pedalare”.

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