
NFT, come applicarli nella ristorazione.
Non potevo sottrarmi a comprendere uno dei fenomeni di business nel momento. La mania NFT impazza in tanti settori, e anche nelle catene.
McDonald’s, Burger King, sono alcune delle catene che hanno lanciato delle iniziative nel settore, seguendo il pioniere, Taco Bell, che ha il record di essere stato il primo fast food a lanciare una collezione NFT. Mentre altri ristoratori promuovono iniziative uniche (come vedremo nel corso di quest’articolo). Ma la questione che vorrei condividere con voi è: sono davvero utili o rappresentando solo mera speculazione commerciale?
A cosa servono potenzialmente gli NFT nel food?
Prima di fare un’analisi dei pro e contro degli NFT applicati al food, ragioniamo su quali sono i motivi per cui un business dovrebbe adottare NFT. In genere, gli NFT servono a:
- Creare maggiore engagement;
- Lanciare iniziative per far sentire i clienti esclusivi;
- Innovare l’immagine dell’azienda;
- Fare offerte speciali e far vivere all’utente esperienze uniche di degustazione, partecipazioni ad ad eventi privati;
- Offrire possibilità di promozioni/sconti;
- Creare nuovi flussi di entrate per il ristoratore e il cliente.
Questi sono alcuni dei motivi maggiori che ti saranno ancora più evidenti con alcuni esempi.
Taco Bell, per esempio, ha lanciato una collezione NFT, mettendo il ricavato in beneficenza (innovando l’immagine del brand sul fronte della sostenibilità) e offrendo poi un buono da 500 dollari a chi li acquistava da spendere nei ristoranti della catena (offrendo così promo e sconti).
Mentre Burger King con l’iniziativa Keep it Real Meal, offre la possibilità ai suoi consumatori di collezionare tre NFT scaricabili con un QR Code dalla confezione dei suoi prodotti (creando così maggiore engagement con la caccia ad avere i primi tre). Per poi regalarne un quarto speciale, con la possibilità, per esempio, di poter avere una conversazione con una delle celebrity sponsor della catena (facendo vivere così un’esperienza unica all’utente).
Altri ristoranti invece hanno puntato sugli NFT ben prima della loro apertura, come il FlyFish Club che aprirà a New York nel 2023 e che avrà come clienti unicamente persone che hanno acquistato NFT nell’anno che precede l’apertura (lanciando così un’iniziativa per far sentire i clienti esclusivi).
Ma diciamocela tutta, gli NFT, risultano a mio avviso una trovata commerciale per fidelizzare, far parlare di sé e magari guadagnare qualcosina in più alla stregua di una nuova carta fidelity/Vip.
Quando si passa da un mezzo analogico a uno digitale, il rischio è di replicare la stessa logica di un determinato asset senza adattare la sua natura al nuovo mezzo tecnologico. Un errore che chi approccia al settore degli NFT nel food (come in altri ambiti) non deve commettere è di intendere la tecnologia come una semplice versione digitale delle VIP Card, nel quale l’acquisto degli NFT è solo un escamotage per offrire i soliti benefit agli utenti (come sconti, invito a eventi di degustazione o la possibilità di provare menu speciali).
Insomma, rischia di fare un investimento sbagliato chi lancia una collezione NFT senza pensare a ciò che può renderla davvero unica per un suo cliente e ad effettivo valore aggiunto.
Lo scopo delle collezioni NFT è di trasmettere al consumatore una carica emotiva e/o un investimento nel medio lungo periodo. Cosa c’è di meglio, per esempio, per infiammare il cuore di una persona che farla cenare con un suo idolo? Oppure farla sentire parte di un’operazione di beneficenza o di una startup? O ancora farla guadagnare acquistando un asset di valore che cresce nel tempo?
Lanciare una collezioni di NFT deve essere come lanciare una start-up, deve possedere una reale proposta di valore riconoscibile, uno story telling degno di note e una visione a medio lungo termine.
Nel food ma anche in altri molti settori funzioneranno se saranno realizzati in accezione. Diversamente diventeranno delle versioni diverse delle VIP Card, più costose da fare e più difficili da ottenere per i meno skillati tecnologicamente e rischieranno di non cambiare la vita né al ristoratore, né tantomeno al cliente.